Fiorenza Renda è stata nostro complice durante il PLAGIO del 24 febbraio 2012.

Questo è il racconto improvvisato e scritto per noi partendo dagli spunti suggeriti dal pubblico:

ha scritto durante lo spettacolo del 24 febbraio, partendo dai seguenti spunti:

  • Descrivere i ritratti
  • Un amore finito male
  • Un animale guida
  • Un gelataio che lavora sui treni
  • Una fattoria inglese
  • Riuscire a imparare qualcosa

Buona lettura!!

Allora. Io lo so che per dire di averci talento bisognerebbe avercelo, un qualche talento. Lo so. Ma siccome anche se le cose le so. E me le ripeto. E me le ripetono, io poi faccio esattamente come cazzo mi pare, ecco che all’alba dell’età matura. Ma all’alba eh. Non un minuto prima, né un minuto dopo, quello che ho deciso di fare nella vita è la pittrice. Se poi riuscissi a tenere in mano qualcosa che ricordi chessò un pennello, un pastello. Ma anche solo una bic allora sarebbe fatta. Purtroppo però ammetto che la manualità non è una delle cose per cui verrò ricordata. Però c’è una cosa in cui son brava. Io son brava a farmi i fatti degli altri. Che io lo so che un giorno mi troveranno con un buco in fronte in un angolo riparato di una città tentacolare, dato che continuo a farmi gli affari altrui con una certa costanza e continuità.. E poi son brava a descrivere le facce. E forse anche per questo motivo mi troveranno col solito buco di cui sopra, sempre in fronte, ci mancherebbe. Perché avrò descritto la faccia sbagliata al momento giusto o forse la faccia perfetta nel momento meno appropriato. Chissà. Fossi poi una fortunata in amore. Ma no. Ma manco per niente. Nel senso, non è che faccio fatica a innamorarmi. Ci mancherebbe. È che proprio non mi viene di far innamorare di me l’oggetto dei miei desideri. In pratica: c’ho una sfiga pazzesca, perciò credo che mi metterò a giocare, ma a giocare di brutto. Per compensare. L’ultimo deficiente che ho deciso doveva assolutamente essere l’uomo della mia vita, nonché padre dei miei futuri pargoli  era uno messo peggio di me, un musicista, pieno di capelli. Coi dread proprio. A musicare non tirava su un euro e poi detta tra di noi non è che fosse un granché a suonare questo strumento che a lui piaceva tanto suonare, che era poi l’armonica a bocca. Che io che lo amavo tanto e  gliela tenevo tutta lucida quest’armonica e gliela detergevo dagli sputacchi che inevitabilmente finivano dentro all’armonica stessa. Si lo so fa un po’ schifo ma provateci voi a suonare l’armonica senza sputacchiarci dentro. Insomma a me questa cosa dell’amore non corrisposto col musicista mi è pesata qua sul cuore un casino, che ho pure pensato all’inizio di averci i calcoli. Un problema di digestione. Ma un problema serio, mica una robetta così. Ma mi ha anche dato un sacco di stimoli, quest’amore coi dread, che a un certo punto mi son detta. O, non sarò capace di dipingere un bel niente però chi l’ha detto che non posso pigliare una tela e mettermi a raccontare parola dopo parola quello che vorrei che rimanesse impresso su questa tela? Se invece sapessi dipingere? Chi l’ha detto? 

“Insomma a me questa cosa dell’amore non corrisposto col musicista mi è pesata qua sul cuore un casino, che ho pure pensato all’inizio di averci i calcoli. “

Oddio, se devo essere sincera due giorni fa. Che tornavo da Modena. E c’era un freddo. E una neve. E tornavo in treno no, che insomma ne hanno cancellati tre o quattro prima che riuscissi a beccarne uno. Ecco in treno due giorni fa ho incontrato uno che secondo me era ancora più sfigato di quanto riesco ad essere io nei miei momenti più gloriosi. Che insomma, anche la sfiga può essere gloriosa, no?  Beh, questo qua era talmente deragliato che si era inventato il mestiere di fare il gelataio sui treni in inverno. E lui me l’ha detto, così chiacchierando, che questa idea di dipingere che c’avevo in testa era un’idea balzana. Certo manco lui scherzava.. Che in estate, mi ha detto, son buoni tutti a fare il gelataio sul treno. Ma in inverno, no. In inverno ci sono solo io. E ci credo gli risposto. Che ci sei solo tu. Ma dico, non puoi proprio farti venire in mente un’occupazione migliore di questa. E va bene che in questi tempi precari tutto fa brodo, ma appunto il brodo ha già più senso del gelato, a meno 12 sotto zero. Mi pare. A quel punto lui mi guarda e quasi si mette piangere. Una scena desolante: Se avessi uno spadone, al posto della paletta quasi quasi mi ammazzerei. Farei harakiri, mi fa. Senti evita gli ho risposto. Che tanto a colpi di paletta arrivi poco distante. Forse la prima pelle. Forse. E poi non lo so. Ma non credo mica poi neanche quella. E poi sporchi tutto. E poi te lo devo dire, a me il sangue fa anche un po’ schifo. A quel punto mentre secondo me il gelataio stava seriamente pensando di affondarsi un cono nella giugulare, il treno inchioda che nemmeno se avesse guidato Bruno il mio yorki, che ora è vecchietto povero, e mezzo cieco.  ma che quando era giovane era capace di tenermi dritto lo scooter con una zampa sola mentre io controllavo lenti a contatto e punti neri nello specchietto retrovisore. Così anche io guardo questo gelataio. E lui guarda me. Senti, gli dico, ma tu se non facessi il gelataio precario e magari abusivo  in inverno su questo intercity, che vorresti fare? Io? mi risponde lui: boh. Forse vorrei ritirarmi in una fattoria. Una fattoria? Gli chiedo. Davvero? Si, mi fa bello convinto lui. Inglese. Con tutto quel verde. Le pecore. I gufi. Gli uccellini. Magari anche un drago. Un drago? Ma allora non sei solo peso quanto un sogno, che i sogni si sa che se li alimenti a carboidrati poi si appesantiscono, anche se a proteine vanno poco in là, i sogni. Sei anche pazzo. Occhio che Potrei pure innamorarmi di te se continui a dire sufficienti scempiaggini. Che è una cosa che mi viene bene di innamorarmi a suon di scempiaggini. Però stai attento che se mi innamoro poi ti descrivo su tela. E sono affaracci tuoi. Soprattutto se sei ricercato che so dalle polizie internazionali, ma anche dalle polizie locali. Il gelataio mi guarda ancora. Poi guarda il cono che tiene nella mano sinistra. La paletta che tiene nella mano destra. E mi guarda di nuovo. Come un cavaliere medievale potrebbe guardare una donzella spettinata magari, ma piuttosto appetibile, al ritorno da una crociata. Lo guardo anche io. E  finalmente capisco. Che da quel momento avremmo forse smesso di essere fortunati al gioco. Io e il gelataio. Ma che, magari, avremmo cominciato ad imparare qualcosa, insieme.