Valerio Nardoni è stato nostro complice durante il PLAGIO fiorentino dell’ 8 febbraio 2014.

Questo è il racconto improvvisato e scritto per noi partendo dagli spunti suggeriti dal pubblico:

  • Volevo venire anche io
  • Lo stesso regalo
  • L’uomo senza attributi
  • Fare spazio
  • Se vado avanti migliori
  • Cambiare verso
  • Non riesco a liberarmene

Buona lettura!!

MAI CONTENTA
A Sabricigo

La favola più bella che mi avevano mai raccontato, la ricordavo sempre, era di quella bambina che poteva chiedere tutti i regali che voleva e chiedeva sempre LO STESSO REGALO. Intanto cresceva, viaggiava, diventava una donna, non mi ricordo come ogni volta incontrava qualcuno disposto a offrirle tutto quello che aveva, e lei chiedeva sempre lo stesso regalo. Mi commuoveva ogni volta il finale, quando diceva cosa voleva dire quella frase: a tutti chiedo la stessa la cosa, non mi dare tutto, regalami qualcosa che hai pensato solo per me. E nessuno l’aveva.
Quando abbassai il ricevitore del telefono, ebbi come un presentimento, non riuscivo a convincermi di aver fatto bene a invitarlo a cena a casa mia. Ramiro, L’UOMO SENZA ATTRIBUTI, come lo chiamava Eleonora, bella amica, è una stronza, ma NON RIESCO A LIBERARMENE.
Il fatto è che io ero stufa della solita vita, volevo cambiare. Da ragazzine, l’estate, andavamo insieme alle feste degli stabilimenti balneari, stavamo una settimana a dieta per metterci le magliette strette e poi, prima di tornare a casa – non oltre la mezzanotte, se no per strada si trovava l’esorcista – ci finivamo a cucchiaiate un barattolo di Nutella comprato di nascosto.
Io volevo CAMBIARE VERSO, dare una svolta alla mia vita. Eleonora mi diceva che se non ero capace di trovarmi un fidanzato decente era per colpa mia, che ero una depressa, che per divertirmi mi servivano emozioni forti, che poi finivano a pianti e schiaffi, come con quel bastardo di Matteo.
“Ma te uno normale non te lo trovi mai, vero?”, mi diceva Eleonora, “per forza, tutto il giorno in Comune cara mia, poi la sera pum pam, zin zin, ma se questo non te lo levi di torno, da vecchia ti ci vuole il culo di riserva dalle fregature che prendi, ma possibile che non lo vedi?”
Guardai l’orologio a muro a forma di scimmietta, le otto in punto, me lo sentivo: suona il campanello. Ramiro non fa mai un minuto di ritardo. Istintivamente, prima ancora di aprire la porta  la mia mano si muove in avanti a ricevere un imprevedibile mazzo di rose, pensate proprio per me.

“Se vado avanti migliora, pensavo sempre, come quando lessi
le prime otto righe di Tre metri sopra il cielo.”

“Ciao Camilla” mi dice appena entra.
“Accomodati” gli dico, e prendo il mazzo di rose, che non so dove infilare. Me lo dico sempre, con tutti questi regali che ricevo, a un certo punto dovrei FARE SPAZIO. Mi do della stupida, ma come, lo sapevi anche che di sicuro ti portava dei fiori. Faccio uno scherzo, rovescio la bottiglia di Coca Cola nell’acquaio e la taglio: “Ecco, ho fatto un vaso!”, gli dico, “così beviamo più vino!” – mi lancio in questa battuta, ormai sicura che fosse astemio.
Invece no, il vino gli piaceva eccome. Il problema, me ne accorsi qualche minuto dopo, è che lui trovava tutto buonissimo, tutto bellissimo, anche il colore delle sedie e le stronzate attaccate al frigorifero, già solo questo mi faceva una grande tenerezza. Come facevo a pensare di spogliarlo, per fargli un bagnetto?
Non fu una grande serata, a parte le patate bruciate. SE VADO AVANTI MIGLIORA, pensavo sempre, come quando lessi le prime otto righe di Tre metri sopra il cielo.
Alla fine non fu neppure una cena antipatica, ero determinata a cambiare, a provare a stare con un uomo normale, appena un poco più basso di me, con gli occhi piccoli e le mani grandi.
Si mangiò quel che c’era, poi la discussione andò un po’ su di noi, dal lavoro si passò alla scuola che avevamo fatto… me la sentivo scivolare; provai tirare fuori un dolcino (comprato al Superal), gli chiesi persino di che squadra era, per cambiare discorso, ma non c’è stato verso di piegarlo, forse nel fare la vaga l’avevo incuriosito più che mai, o forse insospettito, non lo so, non funzionò neppure l’idea di alzarmi per mettere un disco… e giù te a che a concerti sei andata, che musica ti piace – a lui piaceva tutto anche di musica, era stato al concerto di David Bowie, VOLEVO VENIRE ANCH’IO mi scappò detto.
Ora come è andata non riesco a ricostruirlo, ma in qualche modo cominciò a parlarmi delle sue esperienze con altre ragazze, forse proprio per qualche concerto, non c’era modo di arginarlo, me lo sentivo, ora me lo chiederà, me lo chiederà; io iniziai a distrarmi, non l’ascoltavo neppure, non so che storia importante aveva avuto, e alla fine, tirò fuori la spada per darmi il colpo di grazia e cominciò a dire: “…beh, se proprio dobbiamo dirci tutto, io sono stato in tutto con cinque donne”, poi mi guardò. Io lo guardai.
Sorrisi. Ma tanto ormai lo sapevo, era inevitabile, piegai la testa e lui mi chiese ancora…: “e te?”
Dietro il mio rossetto sgargiante, e dietro ancora le perle del mio sorriso, sentii come una martellata che incrinò tutti i denti. Penso che rimasi con quell’espressione modello paresi giulivaper diversi secondi.
Il cervello intanto mi si era attivato di colpo, dopo tutta la paura, le nubi si erano diradate, ero lucida, cominciai a pensare più in fretta che potevo. A un certo punto ho anche deglutito di nascosto come per prepararmi ad una corsa, e continuando a sorridere: nella mia testa avevo iniziato a togliere tutti quelli con cui mi ero baciata e basta, poi tutti quelli con cui c’era stato qualche avanzamento sotto i vestiti, o magari al mare, che l’estate porta consiglio, e però nulla, non era possibile: ci tolsi anche tutti quei rapporti più o meno discretamente orali e affettuosi, tutti quelli una botta e via, ma me ne rimanevano comunque troppi!
Non avevo via di scampo, ripresi un atteggiamento disteso, credo che spostai una forchetta, non so se presi un bicchiere per bere un sorso, mi sciolsi la voce, e dissi: “eh?… anch’io”.