Gianluca Morozzi, è stato nostro complice durante il PLAGIO del 25 novembre 2011.

Questo è il racconto improvvisato e scritto per noi partendo dagli spunti suggeriti dal pubblico:

  • Curiosità
  • Lo scambio
  • Passione per un genere
  • Dolce attesa
  • Una serie di imprevisti
  • Un tentativo di distrazione non riuscito
  • Tabula rasa

Buona lettura!!

Soccia ragazzi, che vita di merda. Dover fare l’amore giorno e notte con ragazze pazze, donne disturbate, paranoidi, paranoiche, ansiose, ansiogene, insane, parzialmente insane, sempre, sempre, e badate, io non ho neppure una particolare passione per un genere di donne, quelle con evidenti problemi psichiatrici. Intendo dire solo che loro hanno una particolare passione per me.

Tutto questo, ovviamente per colpa di quel maledetto, stramaledetto, tre volte maledetto romanzo che ho scritto dieci anni fa, il mio unico romanzo, tra parentesi, il dramma psicologico introspettivo “Tabula rasa”, che per una serie di imprevisti è stato trasformato da alcuni produttori dalla bizzarra fantasia nell’incredibile successo cinematografico “Ciccio Patato cavalca selvaggio”. Lo avrete visto anche voi, suppongo, quell’orrido film. Tutti hanno visto “Ciccio Patato cavalca selvaggio” e i suoi discutibili seguiti, “Ciccio Patato in vacanza ai Caraibi”, “Ciccio Patato e la banda dei sette”, “Ciccio Patato alle crociate”, fino alla leggerissima degenerazione degli ultimi film, “Ciccio Patato contro gli Ittiti” e “Ciccio Patato contro l’Incredibile Hulk”, non proprio dei capolavori, diciamo così.
Insomma, ci sono queste donne completamente pazze che mi seducono accostandosi a me con le magliette di Ciccio Patato, costringendomi a sussurrare sul più bello frasi scelte tratte dagli immortali capolavori “Ciccio Patato s’innamora” o “Ciccio Patato contro Gorilla Natale”, capite, cose che smorzano un po’ l’afflato erotico. Hanno tutte quante l’insana curiosità di scoprire quali straordinarie doti sessuali abbia l’inventore di quel personaggio straordinario.
Ecco, ve lo dico, a scanso di equivoci: non ne ho. Io non sono Ciccio Patato. Lo scambio tra autore e personaggio è molto comune, me ne rendo conto, ma guardate, io ce l’ho, come dire, piccolo, piccolissimo, minimale, capite? Non occupa spazio, non fa male, non sporca, dove lo metti sta. Roba che io, tutte le volte che una di quelle ragazze pazze o donne disturbate, paranoidi, paranoiche, ansiose, ansiogene, insane, parzialmente insane, le fan di Ciccio Patato, insomma, tutte le volte che una di quelle fanciulle si ritrova nel mio letto e io devo spogliarmi e farmi vedere completamente nudo, ecco, quasi quasi chiedo scusa in via preliminare.
Scusa.

“Tutti hanno visto “Ciccio Patato cavalca selvaggio”
e i suoi discutibili seguiti”

Nessuna di loro, c’è da dire, fa mai una piega. Secondo me, mentre fanno l’amore con me, quelle pensano a Ciccio Patato. E questo, si vede, è più che sufficiente.
Che poi, lo devo dire, non solo sono microdotato e, dimenticavo, rapidissimo, rapido rapido, tre colpi e via, ma ho la vescica grande come quella di un bambino di sei mesi. Basta che io beva un goccio d’acqua prima di apprestarmi alla copula, che subito la mia piccola vescica scalcia. Così, a un certo punto, mentre io e lei siamo, come dire, nudi, ci si bacia, si gira intorno all’argomento, si indugia un po’ sui preliminari, e poi, quando sarebbe il momento di passare al dunque, io sussurro suadente “Aspettami qui!”
Prima che la fanciulla possa protestare, corro in bagno. Mica le dico “Scusa, mi scappa tantissimo, o uso il mio attrezzo per una cosa o la uso per l’altra”, no, così si perderebbe la poesia. Io lascio un velo di mistero.
Un tentativo non riuscito di distrazione, si potrebbe pensare. Invece, incredibile, il tentativo funziona benissimo. Quel che conta è il tono con cui si dicono le cose. L’importante è sussurrare “Aspettami qui” nel modo giusto. Lei, sola tra le madide lenzuola, pensa “Chissà cosa sta facendo di là, chiuso in bagno, quale incredibile sorpresa mi starà riservando?, cosa ci sarà di così importante da interrompere i preliminari per chiudersi in un cesso?, forse uscirà vestito da Rodolfo Valentino, o con un completo di lattice e cuoio, o forse sta confezionando un dildo artigianale con la carta igienica per meglio soddisfarmi, dopotutto ha fantasia, lui, va bene, ce l’ha grande come un bambolotto, ma è pur sempre l’inventore di Ciccio Patato!”, e si crogiola nella dolce attesa del mio ritorno. Tutto questo mentre io, chiuso nel bagno, sto pisciando come un cavallo da tiro ungherese.

Soccia, ragazzi.
Che vita di merda.

Tutto questo fino alla svolta del film natalizio “Ciccio Patato va in Transilvania”, la degenerazione in chiave vampiresca della discutibile saga. Dopo, la categoria di fan è un pochino cambiata: da quando è uscito “Ciccio Patato va in Transilvania” io mi sono ritrovato nel letto ragazzine pallide, esangui, emaciate, che mi porgevano il collo sussurrando suadenti “Datemi il dono finale, ve ne prego, Mio Signore, regalatemi la morte che è vita”.
Voi che avreste fatto? Io davo giusto un morsetto, così, un morsettino di rappresentanza, giusto per non sembrare scortese. Poi, nervoso, correvo a pisciare.
Questa cosa che correvo a pisciare, senza neppure sussurrare “Aspettami qui”, un pochino rovinava l’atmosfera.
Fino a che non è arrivata Marta. Bellissima, pallida, esangue anche lei, come consuetudine. Solo, lei, a differenza delle altre, non voleva affatto che la mordessi. Anzi: prendeva lei l’iniziativa. Affondava le sue labbra dipinte di nero nell’incavo del mio collo, e morsicava. Soccia ragazzi, se morsicava! A forza di morsi, mi ci sono i innamorato.
Fino a quando, una notte, Marta non mi ha sussurrato “Devo dirti una cosa.”
“Sei sposata”, ho detto io, tristissimo.
“Non sono sposata” ha detto lei.
“Hai un figlio” ho detto io, depresso.
“Non ho un figlio” ha detto lei.
“Sei un clone alieno proveniente dal futuro per rubare il mio Dna e generare una nuova razza che popolerà la terra desertificata dell’anno Ottantamila!” ho detto io, improvvisando.
“Non dir cazzate” ha detto lei.
(Leggo troppi fumetti. Lo so.)
“Quindi?” ho chiesto io a quel punto “Cos’è che devi dirmi?”
“Eh” ha sussurrato Marta “Devo dirti che sono un vampiro. Un vampiro vero.”
“Ah” ho detto io.
“Sei arrabbiato con me?” ha chiesto, tristissima “Parla, ti prego!”
Io ho guardato il soffitto. Ho preso un profondo respiro.
E ho mormorato “Nessuno è perfetto.”
Avevo sempre sognato di dirlo.