Lorenza Ghinelli è stata nostro complice durante il PLAGIO riminese del 6 aprile 2013.

Questo è il racconto improvvisato e scritto per noi partendo dagli spunti suggeriti dal pubblico:

  • Il libro più noioso
  • Prendersi cura di qualcosa di diverso
  • Mi piace molto
  • Prodigarsi in modo troppo sbrigativo
  • Un errore immediatamente decriptato
  • Non riuscire a portare a termine una cosa
  • Me ne voglio liberare!

Buona lettura!!

LA VOCE GUIDA

Per comprendere le ineluttabili vicissitudini che condussero Terenzio Meneghetti a collassare supino e depilato sul ponte, con addosso un costumino da farfallina tropicale, è necessario compiere un salto temporale indietro di appena sette ore.
Sette ore prima, infatti, Deborah con l’h, sua compagna da quattro anni, tre mesi, due giorni e uno sputo di secondi, strappandosi con veemenza, e con l’ausilio di un micidiale silkepil, i peli incarniti dal polpaccio gli disse:
“Terenzio, caro, non funziona più”.
“Il silkepil?”, chiese Terenzio.
“No Tere, noi due, assieme”.
Gli parlò, ciccando la sua bubble gum alla cannella e zenzero, di un rapporto ormai sfiorito, in cui ogni passione era stata eradicata.
“Non mi stupisci più”, disse sempre ciccando. “Facciamo le stesse cose…” ci pensò su e aggiunse… “le stesse posizioni…”
Il tanto decantato libro dell’amore, lo storico libro dell’amore, era ormai, per Deborah con l’h, paragonabile al gioco del tetris, avvincente, ma solo in principio. Ora era diventato per lei indubbiamente il libro più noioso. “Cerco altro”, gli disse. “Stupiscimi, o sento che tra noi due è finita per sempre”.
E lasciandogli il silkepil nel lavandino se ne andò.
Terenzio Meneghetti, detto Tere, comprese di averla trascurata dedicandosi ai soliti trastulli, senz’altro era tempo di prendersi cura di qualcosa di diverso, ma cosa?
Strappò la giacca all’armadio e si gettò in strada in preda all’angoscia. Torturandosi con pensieri nefasti, tutto solo davanti al bancone di un bar, fuse i pochi, pochissimi neuroni rimasti. Ma alla settima vodka le porte della percezione si spalancarono e iniziò ad ascoltare la sua voce guida. La cosa strana fu che parlava con la voce di Yetta, la zia della Tata, quel programma molto in voga su Italia Uno alcuni anni prima. Zia Yetta diceva:
“Vado matta quando me lo trovo davanti tutto colorato, così ben tosato, con quei costumini buffi che mettono tanta, tanta allegria. È senz’altro un diversivo alle solite cose. Alcune lo trovano ridicolo, ma mi piace molto, e anche a lui, ne sono certa”.

“…la sua voce guida. La cosa strana fu che parlava con la voce di Yetta,
la zia della Tata…”

Terenzio detto Tere s’illuminò, ebbe come una visione, si vide bellissimo, lucente, perfettamente tosato dentro i panni non di un supereroe mascherato bensì in quelli di una sgargiante farfalla che aveva abdicato al suo essere bruco. Si alzò in modo affatto atletico e claudicò verso l’uscita, a ogni passo che faceva sentiva sempre più fievole la voce del suo spirito guida, la voce di zia Yetta, che seduta comodamente a un tavolino con le amiche continuava a tessere le lodi di Dartacan, un barboncino fresco di toeletta costretto in un bustino barocco.
Quando Terenzio detto Tere si fiondò nel primo centro estetico che incontrò sul suo cammino, biascicando che gli facessero una ceretta totale, non lo colse minimamente il sospetto di prodigarsi in modo troppo sbrigativo.
Uscito da lì, sentendo il vento marzolino sulle nude braccia maschie, si ricordò la necessità di acquistare quanto prima un costume. Ma sul suo cammino incontrò soltanto un negozio per bambini. Fu tentato, tentatissimo, di ripiegare su un virile costume da Batman, ma si ricordò che Deborah con l’h l’avrebbe certamente trovato scontato e si congratulò con se stesso per l’errore immediatamente decriptato. Lo ripose e afferrò un costume a farfallina, memore dei consigli della voce guida che gli aveva parlato con la voce di zia Yetta.
Lo indossò nel bagno di un bar dopo avere ingurgitato un paio di gin tonic, sudando come un facocero sotto il sole del deserto, il tessuto cedette in diversi punti, ma le facoltà per accorgersene erano ormai andate perdute. Cercando di librare nell’aria le braccia lisce e vellutate come ali, decise di volare da Deborah, la sua Deborah, Deborah con l’h, ma decise anche di fermarsi un istante per fare il punto sulla questione che andava facendosi, via via, sempre più confusa.
Quando si concesse una pausa sul muretto, poco prima di addormentarsi di schianto, ebbe la sensazione di non riuscire a portare a termine una cosa, ma per quanto si sforzasse non si ricordò cosa.